Le emozioni costituiscono una componente fondamentale della vita umana, rappresentano il patrimonio per eccellenza di tutti gli esseri e fanno parte della nostra esistenza quotidiana.
William James (James, 1884), per primo, facendo riferimento ai processi neurofisiologici definiva l’emozione come il “sentire” i cambiamenti neurovegetativi che hanno luogo a livello viscerale a seguito dello stimolo scatenante. Pertanto “non piangiamo perché siamo tristi, ma siamo tristi perché piangiamo”, “non tremiamo perché abbiamo paura, ma abbiamo paura perché tremiamo”. Questa definizione costituisce il cuore della cosiddetta teoria periferica, secondo cui alla base dell’esperienza emotiva vi sarebbe un meccanismo retroattivo dalla periferia dell’organismo al sistema nervoso centrale.
Secondo la teoria di James, quindi, l’evento emotigeno determinerebbe una serie di reazioni viscerali e neurovegetative che sono avvertite dal soggetto e la percezione di queste modificazioni fisiologiche sarebbe alla base dell’esperienza emotiva. Dall’evento percepito si passa all’evento emotivamente sentito, pertanto l’emozione costituisce il conseguente piuttosto che l’antecedente dei cambiamenti fisiologici periferici prodotto dalla situazione elicitante.
James dunque, ha evidenziato l’importanza dell’attivazione fisiologica o arousal e delle risposte biologiche per definire l’emozione come un determinato processo psichico, pertanto in questa prospettiva, se non vi è attivazione fisiologica, non vi è neppure emozione. (Anolli, 2002)
In seguito Cannon (Cannon, 1927) avanza con la sua teoria centralista. Egli ha dimostrato l’infondatezza di quella periferica così come proposta da James. Per Cannon i centri di attivazione, di controllo e di regolazione delle emozioni non si trovano in sedi periferiche come i visceri, bensì sono localizzati a livello centrale, nella regione talamica. I segnali nervosi provenienti da questa regione sarebbero in grado di provocare l’attivazione delle risposte espressivo, motorie e viscerali delle emozioni, nonché di determinare le loro componenti soggettive attraverso le connessioni con la corteccia cerebrale, pertanto “non si ha paura perché si fugge, ma si fugge perché si ha paura”. Il talamo stimola i muscoli e i visceri e rimanda indietro le informazioni alla corteccia che, a sua volta, stimola i processi talamici che agiscono nell’area corrispondente a una particolare emozione.
Cannon, approfondendo i processi neurofisiologici sottesi alle emozioni, individua e definisce l’arousal simpatico come “reazione di emergenza”. Si tratta di una configurazione di risposte neurofisiologiche che si attivano simultaneamente alla comparsa dell’emozione e che comprendono l’aumento della frequenza cardiaca, la dilatazione dei bronchi, l’incremento dell’attività delle ghiandole sudoripare, la vasocostrizione cutanea o quella gastroenterica, l’incremento dei valori glicemici, la dilatazione della pupilla ecc.. . Secondo la prospettiva di Cannon dunque, l’emozione coincide con l’arousal simpatico. (Anolli, 2002)
Incontriamo poi la teoria cognitivo- attivazionale di Schachter e Singer (Schachter e Singer, 1962), che ha contribuito in modo efficace ad introdurre una dimensione genuinamente psicologica nello studio delle emozioni. L’emozione viene definita come la risultante di due componenti: l’attivazione fisiologica, arousal e i processi cognitivi che rappresentano quelle condizioni necessarie per l’occorrenza di uno stato emozionale. Ma la loro semplice presenza non è tuttavia sufficiente a generare un’emozione, poiché occorre un’attribuzione causale che stabilisca la connessione fra quest’atto cognitivo e l’arousal stesso.
Schachter e Singer dunque partivano dall’assunto che le risposte fisiche all’emozione informano il cervello dell’esistenza di uno stato di maggior eccitazione ma, siccome sono risposte comuni a molte emozioni diverse, non identificano un particolare stato di eccitazione.
Secondo gli autori, in base all’informazione sul contesto fisico e sociale in cui ci troviamo, e alla conoscenza dei tipi di emozione che si producono in determinate situazioni, apponiamo l’etichetta paura, amore, tristezza, rabbia o gioia su quel dato stato e sarebbe proprio questo etichettare a specificare l’emozione provata.
Si hanno infatti emozioni diverse quando l’attivazione fisiologica è attribuita a tipi differenti di eventi: si prova “gioia” quando è attribuita ad un evento lieto e “paura” quando è attribuita ad un evento minaccioso. Di conseguenza, secondo questa prospettiva, il fattore cognitivo risulta essere decisivo per l’insorgenza dell’ esperienza emozionale attraverso un processo di percezione e di attribuzione causale. (Anolli, 2002)
Secondo queste teorie non è la natura dell’evento a suscitare l’emozione, bensì l’interpretazione, lla significazione, a valutazione che una persona fa dell’evento in relazione al proprio benessere. Una situazione stimolo stimolo può essere interpretata in maniere diverse e suscitare di conseguenza emozioni diverse. Pertanto, come ha messo in evidenza Frijda (Frijda, 1988), le emozioni sorgono in risposta alla struttura di significato di una determinata situazione. Esse non sono attivate dall’evento in sé e per sé, ma sono generate dai significati e dai valori che un individuo attribuisce a questo evento.
Roseman (Roseman, 1979; 1984) propone una teoria strutturale che utilizza cinque appraisal motivazionali e valutativi, alle cui varie combinazioni corrisponderebbero tredici diverse emozioni. Le dimensioni valutative citate dall’autore comprendono:uno stato motivazionale, che distingue fra motivazione appetitiva o eversiva, cioè fra la tendenza dell’individuo a cercare di ottenere un premio o ad evitare una punizione;
- uno stato situazionale, che si riferisce alla presenza o assenza nella situazione del premio o della punizione, cioè dello stato motivazionale;
- la probabilità, cioè la valutazione della certezza o incertezza con cui un certo evento potrà verificarsi;
- la legittimità, ossia la convinzione che una persona ha di meritarsi un premio o una punizione;
- l’agente con cui si distingue se un certo esito è prodotto da circostanze impersonali, da se stessi o da altre persone.
Dalla combinazione di questi cinque sistemi di valutazione emergono le varie emozioni, che vanno considerate come conseguenze e non come cause di questi.. (D’Urso, Trentin, 1998)
Una teoria più recente è quella di Philip Johnson-Laird e Oatley (Johnson-Laird e Oatley 1992). Essi definiscono le emozioni come un sistema di segnalazione a più livelli, uno arcaico, immediato, primitivo e uno complesso, proposizionale valutativo e autocosciente che fa riferimento ad attribuzioni di significato su di sé, sul mondo, sugli altri. Il primo livello, definito di base, è essenzialmente predisposto ad una rapida risposta coerente con l’adattamento orgasmico all’ambiente, l’altro livello costituisce una caratteristica evoluta che coincide con le valutazioni e le comunicazioni sociali tipiche del pensiero proposizionale e autocosciente. (D’Urso, Trentin, 1998)
C. Darwin, nel suo classico lavoro, The Expression of the Emotions in Man and Animals, sosteneva che esiste una base innata e universale delle nostre esperienze emotive. Darwin ha avanzato due ipotesi, ha sostenuto che gli esseri umani possiedono un repertorio universale e innato di espressioni facciali distinte, e che a tali espressioni vengono attribuiti i corrispettivi significati per mezzo di un meccanismo innato di riconoscimento. (Anolli, 2002)
Tra gli studiosi non vi è pieno accordo su quali siano le emozioni fondamentali o primarie dell’uomo, anche se la maggior parte di loro è abbastanza concorde nel riconoscere quelle che, secondo la concezione di Paul Ekman (Ekman, 1984), dell’Universyty of California di San Francisco, si definiscono come le sei principali dimensioni emotive: collera, disgusto, felicità, sorpresa, paura e tristezza (Ekman, 1992b). Egli sostiene che le espressioni facciali per queste sei dimensioni sono universali, riconosciute da tutte le culture del mondo, da quelle più avanzate a quelle più arretrate, comprese quelle non influenzate dal progresso.
Izard (Izard, 1977, 1991), propone la teoria delle emozioni differenziali o discrete, secondo la quale gli organismi possiedono un repertorio pre programmato di emozioni di base con alto valore adattivo e funzionale alla sopravvivenza dell’individuo o della specie, indipendentemente dall’attività cognitiva.
La sua teoria afferma che:
- le emozioni fondamentali rappresentano il principale sistema motivazionale;
- ogni emozione fondamentale ha aspetti motivazionali fenomenologici distinti;
- emozioni fondamentali come gioia, tristezza, rabbia e vergogna danno luogo a esperienze interne e comportamenti diversi;
- le emozioni fondamentali int eragiscono fra loro, attivandosi, amplificandosi e attenuandosi l’un l’altra; ? i processi emotivi interagiscono e influenzano l’omeostasi, i meccanismi pulsionali e i processi cognitivi e motori. (D’Urso, Trentin, 1998)
La paura
La paura occupa un ruolo rilevante sia nella vita dell’individuo che in quella della collettività. E’ un’emozione che appare precocemente nella vita di ogni individuo: i neonati si aggrappano e si legano emotivamente a coloro che li proteggono, e soltanto quando si sentono abbastanza sicuri si lasciano coinvolgere da altre emozioni come la curiosità ed il piacere. E’ un’emozione che può essere facilmente trasmessa ed è “contagiata” attraverso gli atteggiamenti del corpo e le espressioni del viso.
L’espressione facciale della paura, come ha evidenziato Ekman (Ekman, Soreson e Friesen, 1969), ha una faccia caratteristica: bocca semi- aperta con gli angoli verso il basso, occhi aperti e fissi, sopracciglia avvicinate con la parte interna all’ingiù, fronte aggrottata. In tutte le specie studiate la funzione dell’esprimere paura appare essere quella di avvertire i membri del gruppo della presenza di un pericolo e nello stesso tempo chiedere aiuto. All’origine quindi, è uno stato fisico che serve alla sopravvivenza degli animali, dell’ individuo e del gruppo: fuggire, aggirare, attaccare, resistere, aggrapparsi, bloccarsi, sono i modi con cui si affronta il pericolo e la paura si evidenzia. Negli esseri umani però l’esperienza, l’apprendimento e l’immaginazione svolgono un ruolo determinante poiché, in base alle conoscenze che abbiamo, possiamo anticipare i pericoli e prendere le precauzioni opportune. Nello stesso tempo però possiamo anche amplificare i pericoli e allarmarci eccessivamente o troppo in anticipo. (Galati, 1993)
● FINALITÀ: mantenere la propria integrità sia fisica che psicologica
● FUNZIONI ADATTIVE: evitare il pericolo (fisico e psicologico); imparare quali sono gli eventi e le cose pericolosi; mettere in allarme gli altri per la presenza del pericolo
● ESPRESSIONE DEL VOLTO: sopracciglia alzate e spesso poste una vicino all’altra; occhi molto aperti e tesi, rigidamente fissati sullo stimolo
● RISPOSTA FISIOLOGICA: battito cardiaco veloce e stabile; bassa temperatura della pelle; respirazione intermittente
La rabbia
La rabbia rappresenta una delle più precoci fra le emozioni, insieme alla gioia e al dolore. Stenberg e Campos (Stenberg e Campos, 1990) hanno identificato delle chiare manifestazioni di rabbia nell’espressione del viso e nelle vocalizzazioni già in bambini di soli quattro, sette mesi. Per questi autori la rabbia, anche nei bambini piccolissimi, implica la comprensione di un rapporto fra azioni volontarie ed effetti, che testimonia lo svolgersi di elaborazioni cognitive complesse.
Le cause della rabbia possono essere fatte risalire alla presenza di un ostacolo, al mancato soddisfacimento di un desiderio e all’imposizione di un danno.
Per Izard (Izard, 1977) la rabbia è la tipica manifestazione della reazione alla frustrazione e alla costrizione, sia fisica che psicologica. (D’Urso, Trentin, 1998)
- FINALITÀ: il raggiungimento di uno scopo che l’organismo è attualmente impegnato a raggiungere
● FUNZIONI ADATTIVE: raggiungere scopi difficili; imparare a superare ostacoli; comunicare potere e dominanza
● ESPRESSIONE DEL VOLTO: sopracciglia abbassate e riunite; bocca aperta e quadrata o labbra chiuse strettamente
● RISPOSTA FISIOLOGICA: battito cardiaco frequente; alta temperatura della pelle; arrossamenti del volto
La gioia
La gioia si riferisce ad un’emozione positiva, improvvisa e piuttosto intensa. Nei bambini appena nati si manifesta in seguito alla gratificazione dei bisogni primari e appare come l’emozione che segue il soddisfacimento di una richiesta o la realizzazione di un desiderio. L’attivazione fisiologica della gioia è caratterizzata dall’accelerazione del battito cardiaco, dall’aumento del tono muscolare, dall’irregolarità della respirazione. Dal punto di vista espressivo la gioia compare quasi sempre accompagnata dal sorriso. (D’Urso, Trentin, 1998)
Le dimensioni dell’emozione
Fisiologica: presenza di specifiche reazioni corporee connesse alle diverse emozioni, elicitate dal SNC, dal SNA e dal sistema endocrino (che regola i livelli di stress e di ansia)
Cognitiva: valutazione e attribuzione di significato alle reazioni messe in atto dall’organismo, che stimola l’individuo a far fronte agli eventi; media il rapporto con l’ambiente
Motivazionale: orienta all’azione e modifica/regola il comportamento in relazione ai desideri e agli scopi; stabilisce le priorità
Espressivo-comunicativo: presenza di configurazioni facciali e altre manifestazioni non verbali, essenzialmente universali e specifiche per ogni emozione
Sociale: presenza di un significato fortemente contestualizzato e specifico che dipende dal contesto e dalle relazioni le emozioni assumono significati specifici in rapporto alla valutazione soggettiva e intersoggettiva che viene attribuita all’evento emotigeno
Teoria della differenziazione emotiva di Sroufe (Sroufe, 1979; 1995) prevede che:
● I neonati provano solo una generica eccitazione
● Emozioni distinte emergono successivamente, mano amano che lo sviluppo cognitivo e sociale consentono al bambino:
● di valutare gli eventi
● di rendersi conto di quanto essi facilitano o ostacolano i suoi obiettivi
● di comprenderne cause e conseguenze